Le riforme in Italia

Il ruolo dei "piccoli" partiti

di Francesco Nucara

Abbiamo ascoltato con molto interesse e la dovuta attenzione il discorso che Silvio Berlusconi ha tenuto sabato scorso al Palazzo dei Congressi di Roma. Ebbene, abbiamo ascoltato un discorso che, segmentato, per lunghi tratti potrebbe essere definito un comizio.

Un parlare già da campagna elettorale prossima ventura. Berlusconi ha reiterato l’elenco degli efferati delitti di coloro che lui continua a definire "comunisti" dimenticandosi che in Italia essi non esistono più, né come definizione né tanto meno come organizzazione influente sul sistema politico italiano. La realtà odierna è che gli eredi dei comunisti italiani sono abbondantemente contaminati (politicamente) dai figli dei democristiani, al punto tale che i post-comunisti rischiano di trovarsi con un segretario uscito direttamente dalle sacrestie e un presidente del Consiglio che incarna perfettamente il teorema del doroteismo.

Un’altra parte del discorso di Berlusconi ha riguardato l’Europa. Le idee che ha espresso, genericamente antieuropeiste, possono o no incontrare consenso, ma la sua maniera retorica di illustrarle può certamente ben insinuare il dubbio che il suo scopo sia stato improntato alla delineazione anticipata di una concorrenza elettorale nei confronti di Beppe Grillo e dei 5 Stelle.

Tuttavia, la parte che per quanto ci riguarda sarebbe quella più vicina alla nostra storia e che ha riguardato se non altro tutto il ‘900 è quella rituale di sempre: non votate i piccoli partiti, sono voti persi!

La plateale contraddizione sta però nel fatto che poco prima egli stesso aveva detto che attorno a Forza Italia si dovrebbero riunire tutti i moderati. Ergo, non andrebbero bene né la sinistra più o meno estrema né la destra più o meno estrema.

Salvo il fatto che con la sinistra più o meno estrema in questo momento si sta al governo del Paese.

La questione, tuttavia, risiede nel fatto, secondo Berlusconi, che, a dar retta ai partiti piccoli, è impossibile fare le riforme che servirebbero all’Italia.

E qui siamo a digiuno di Storia!

Dopo il disastro fascista, che aveva portato l’Italia all’inesistenza politica-internazionale, civile, economica, infrastrutturale, in una condizione insomma di fame nera, furono proprio i "piccoli" partiti con i loro "piccoli" sindacati, le loro "piccole" associazioni cooperativistiche (non propriamente la Compagnia delle Opere), le loro "piccole" associazioni dopolavoristiche a fare della strapovera Italia la settima potenza industriale del mondo. Il boom economico degli anni ‘50 del secolo scorso poté realizzarsi grazie alla lungimiranza di un grande statista come Alcide De Gasperi, che malgrado avesse ottenuto la maggioranza assoluta il 18 aprile del 1948, volle al Governo il contributo dei "piccoli" partiti: PRI, PLI, PSDI.

E furono le iniziative dei "piccoli" partiti a trasformare un Paese prevalentemente agricolo in un Paese industriale.

Ricordiamo qualcuna di quelle riforme:

1) Il Sud con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (Campilli – DC, Giovanni Conti – PRI, Ugo La Malfa - PRI); 2) La riforma del Commercio Estero (Ugo La Malfa - PRI); 3) La riforma delle Forze Armate (Pacciardi - PRI); 4) La riforma Agraria (Segni – DC, Giovanni Conti - PRI); 5) La riforma del Fisco (Vanoni – DC, Visentini – PRI anche se non parlamentare); 6) L’ingresso dell’Italia in Europa (De Gasperi – DC, Carlo Sforza – PRI, Gaetano Martino - PLI) e via di seguito.

Furono questi i personaggi che attuarono la vera rivoluzione liberale, senza avere bisogno di maggioranze assolute, ma prefissando e condividendo obiettivi e programmi, con l’esclusivo fine di attuarli.

E se qualcuno avesse voglia di leggere gli atti della Costituente, troverebbe da subito che l’art.1, secondo Ugo La Malfa (PRI), sarebbe dovuto essere: "L’Italia è una Repubblica fondata sulla libertà". Furono i cosiddetti partiti "grossi" che stravolsero i principi fondamentali della democrazia.

Mancano le idee e, me lo si consenta, mancano pure uomini lungimiranti. La politica del quotidiano non è politica, ma è solo gestione del potere e, come dice Sartori ("la Repubblica", 17 novembre): "Che cos’è il potere? Far fare ad un altro quello che di sua iniziativa non farebbe".

E’ per questo che il potere non è idoneo a fare le riforme che servono al Paese. A qualcuno come Enrico Letta serve parlare molto, anzi moltissimo, per giustificare che non fa nulla.

Ritornino i piccoli partiti che hanno fatto la storia d’Italia, se si vuole la democrazia vera e non quella virtuale della rete.

Come scrive Gaetano Salvemini nel suo saggio "Sulla Democrazia": "L’assunto fondamentale delle dottrina democratica è l’umiltà. Il giudice Holmes era solito dire che un democratico è semplicemente una persona che non pensa di essere un dio. L’umiltà è la via maestra per la tolleranza e la libertà".